L'uscita verso Nord, dominata dalla torre da cui Galileo osservò i satelliti di Giove.
Narrano le cronache che le prime mura di Padova vennero innalzate nel 1195 e che la prima cinta, quella che racchiudeva l'antico centro romano della città, venne completata nel 1210. A questa in seguito, con l'espansione della città, se ne aggiunsero altre due in epoca comunale ed ezzeliniana, ed in epoca carrarese. Su quest'ultima poi nel Cinquecento Venezia eresse l'attuale cinta.
Porta e ponte Molino sono uno resti meglio conservati della prima cinta, che contava ben 19 porte e passaggi; il nome deriva dai numerosi mulini ad acqua, ben 34 nel 1300, un tempo galleggianti sul fiume, diminuiti a 24 verso il XVIII secolo e infine soppressi negli anni 1883-1884.
Il ponte, a cinque arcate, è d'origine romana e risale al 40-30 a.C. anche se fu, chiaramente, più volte ricostruito in loco e con parte del materiale originale. Assieme a Pontecorvo, Ponte Molino è l'unico dei ponti romani tuttora in servizio.
La porta di Ponte Molino è ad arco ogivale sormontato da una possente torre. Si narra che da questa torre Galileo vide i quattro satelliti di Giove, come ricorda la lapide dettata dall'epigrafista padovano Carlo Leoni (1812-1874): "da questa torre Galileo molta via de' cieli svelò".
Da Porta Molino inizia Riviera dei Mugnai, dove è possibile vedere sezioni delle mura medievali, parzialmente incluse nelle costruzioni moderne. Nel rione di Via Dante, l'antica via romana collegata alla Porta, nel Medioevo avevano sede artigiani del cuoio e della scarpe; i più poveri, che non potevano permettersi una bottega in città, trasferirono la loro attività verso la Riviera del Brenta, oggi nota per la fiorente attività calzaturiera.
Vera e propria zona industriale, con i suoi trentaquattro mulini che macinavano giorno e notte con le loro potenti ruote, Ponte Molino vantava a inizio Trecento la maggior concentrazione di mulini della città. Un'altra cinquantina era sparsa lungo i corsi d'acqua interni e altrettanti nel contado. I mulini avevano cominciato a stabilirsi nella zona di Ponte Molino già nel Duecento, grazie alla disponibiltà e all'ingente flusso d'acqua. I mulini di Ponte Molino erano galleggianti, ossia costruiti in legno su due o tre barche ancorate a riva, mentre quelli che si trovavano alle Torricelle erano terragni, ossia costruiti in muratura e pertanto più stabili e idonei ad ospitare anche impianti industriali diversi, come folli per la lana, segherie, macine per cereali. Altri molini si trovavano a Ognissanti, a Santa Maria in Vanzo, in Prato della Valle. Appartenevano in epoca comunale alla Chiesa, al Comune e ai grandi proprietari terrieri. Il mugnaio era affittuario del mulino e pagava l'affitto con la farina. Valeva la regola che ogni mugnaio tenesse per sé un coppo di farina ogni staio di granaglia macinato. Nel Trecento i mulini divennero proprietà dei Signori carraresi, ai quali rimasero fino alla conquista veneziana, quando vennero confiscati e messi all'asta. La corporazione dei mugnai, che era devota dei Santi Rocco e Sebastiano, si trovava presso l'omonimo altare nella chiesa del Carmine.
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