È inserito dal 1994 nell'elenco dei 23 monumenti palladiani della città facenti parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
La data "1540" incisa sulla medaglia di fondazione, conservata al Museo Civico di Vicenza, fissa in quell'anno la posa della prima pietra. L'edificio fu probabilmente terminato ventiquattro mesi più tardi, sei prima dell'inizio del cantiere del grande palazzo Thiene.
Il palazzo venne alquanto ingrandito da Domenico Cerato nel 1750 che aggiunse le ali laterali per volere dei conti Trissino dal Vello d'Oro. L'iscrizione presente nella trabeazione della facciata ricorda gli ultimi ampliamenti del 1820. Fu semidistrutto dai pesanti bombardamenti angloamericani nella seconda guerra mondiale (il 2 aprile 1944, come il bel Teatro Eretenio che vi era affiancato) e quindi ricostruito. È poi divenuto sede di una casa di cura.
Palazzo Civena non è inserito nei Quattro libri dell'architettura di Palladio (1570), ma esistono vari disegni autografi palladiani che documentano le diverse alternative elaborate durante la progettazione. L'odierna distribuzione degli ambienti non è la soluzione definitiva scelta da Palladio ma è frutto del pesante intervento del Cerato, che prolungò l'atrio e modificò le scale. La planimetria originale è comunque ricostruibile grazie a una pianta pubblicata da Ottavio Bertotti Scamozzi nel 1776 (a suo dire ottenuta dai Trissino, allora proprietari dello stabile): il raggrupparsi delle stanze in due nuclei posizionati ai lati dell'atrio, con una serliana che filtra il rapporto con l'esterno, è molto vicino ai progetti palladiani di villa di quegli stessi anni.
La precoce data di progettazione rende palazzo Civena una preziosa testimonianza dell'attività giovanile palladiana e della sua cultura architettonica prima del risolutivo viaggio a Roma nel 1541 con Gian Giorgio Trissino, suo mecenate. Come già la villa Trissino di Cricoli, l'edificio segna una frattura con la prassi costruttiva vicentina: la tradizionale polifora al centro della facciata è sostituita da una sequenza regolare di campate, ritmata da lesene accoppiate. In ciò Palladio si ispira evidentemente ai palazzi romani di primo Cinquecento (come lo scomparso palazzo Caprini di Bramante), ma è chiaro che non si tratta di una conoscenza diretta: la facciata dell'edificio appare come ritagliata da un foglio di carta, priva di reale consistenza plastica. Per altro, tutti gli elementi del linguaggio architettonico derivano da esperienze venete, e non romane, in primo luogo gli edifici realizzati da Giovanni Maria Falconetto a Padova.
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