L’area in cui si trova questa villa era chiamata “possessione dei Santi Martiri” e nel 1775 l’ingegnere militare Vincenzo Struppi aveva disegnato il primo giardino all’italiana che si fosse visto in città.
La casa domenicale era stata eretta in seguito a un progetto di sistemazione di tutta l’area e forse viene completata nel 1782, anno nel quale Carlo Dini traccia una pianta dettagliata della città dalla quale si nota il giardino e la nuova costruzione. Tale costruzione risulta essere a valle e non a monte del giardino stesso come previsto dal progetto dell’ingegnere militare. La proprietà era del commerciante Antonio Strohlendorf il quale in mezzo ad un ameno giardino aveva fatto erigere una casa di campagna chiamata “Villa Anonima”.
Nel 1790 la tenuta fu acquistata dal conte Cassis Faraone, ricco mercante di origine egiziana, il quale ampliò e abbellì lo stabile all’interno e all’esterno: ornò la villa di statue, di giochi d’acqua, di un magnifico giardino e di una superba orangerie.
Nel 1784 giunge a Trieste un architetto francese di nome Champion il quale viene considerato dalla tradizione come autore della villa. Con ogni probabilità egli è l’architetto responsabile della configurazione definitiva della villa Necker e della costruzione in stile analogo della villa Murat, abbattuta all’inizio del Novecento.
Negli archivi locali non esistono riscontri che lo indichino quale autore. La tradizione critica è decisamente orientata verso questa attribuzione soprattutto per un carattere molto particolare della villa Necker come della villa Murat: gli elementi stilistici fondamentali sono indubbiamente di origine francese. Si ritrovano sia la chiarezza del classicismo Luigi XVI, sia il forte senso dei volumi e delle geometrie semplici di un architetto della rivoluzione francese quale Ledoux.
La villa oltre a essere strettamente legata all’immagine della città di quegli anni è ben presente ancor oggi nella memoria triestina per essere stata casa di Girolamo Bonaparte, luogo di nascita di Letizia e Girolamo Napoleone, rifugio dei napoleonidi in esilio, ritrovo dell’alta società e della cultura non solo triestina, ma europea nella prima metà dell’Ottocento.
L’edificio preannuncia il neoclassico e presenta al piano terra un rivestimento a bugnato liscio a fasce orizzontali, interrotto da lesene, che dividono la facciata in cinque parti. Al centro emerge un ombroso portichetto semicircolare con esili colonne appaiate poste a sostegno un architrave, con una fascia dai motivi a rilievo, e una balaustra a fitte colonnine in pietra bianca.
Al primo piano si aprono le finestre, con motivo superiore a centina e a timpano triangolare alternato per ogni specchio della superficie, ripartita da fasce emergenti che creano un ritmo più ampio.
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