La chiesa di San Francesco è una chiesa pistoiese del XIII secolo dedicata a san Francesco d'Assisi.
La costruzione del complesso iniziò nel 1289. La chiesa fu costruita secondo il modello francescano, con un'unica aula coperta a capriate e transetto articolato in cappelle. La semplicità decorativa e stilistica rende appena riconoscibile il linguaggio gotico. La facciata fu completata solo nel 1707 con il rivestimento marmoreo a bande bianche e verdi.
All'interno le pareti della navata presentano ancora tracce della decorazione con affreschi realizzati nel corso del XIV secolo. Al di là del grande arco trionfale si apre la cappella maggiore, decorata con gli affreschi delle Storie di san Francesco (1343); nella cappella Bracciolini, affreschi con le Storie di Maria eseguiti entro il secondo decennio del XV secolo; nella cappella Pazzaglia, affreschi con Storie dei santi Antonio e Ludovico di Giovanni di Bartolomeo Cristiani; nella cappella Gatteschi, Storie di san Donnino di Bonaccorso di Cino. Fra il 1386 e la fine del secolo furono decorate la sala del capitolo (affreschi di Antonio Vite) e la sacrestia.
Concentrando l'attenzione sugli affreschi della cappella maggiore in San Francesco a Pistoia, scoperti durante gli anni venti del Novecento, si ha la percezione, osservando i lacerti meglio conservati, di un'esecuzione di qualità primaria. Il programma decorativo della cappella, incentrato sulle storie di san Francesco, richiama molto il ciclo di tema analogo della Basilica superiore di Assisi. Le storie del santo risaltano per la loro impostazione monumentale che permette all'esecutore di raffigurare personaggi in scala naturale inseriti in suggestive quinte architettoniche. Le scene della vita del santo sono disposte nelle pareti laterali articolate in tre registri e seguendo un andamento da sinistra a destra, dall'alto in basso si riconoscono:Le cattive condizioni di conservazione rendono difficile la lettura anche della maggior parte dei busti dell'arcone centrale che presenta figure di Apostoli, Dottori della Chiesa e Santi non sempre riconoscibili tranne quelli negli stipiti tra i quali: San Francesco, San Gerolamo, Sant'Agostino e un santo Vescovo (probabilmente San Zeno). Sulla parete di fondo si trovano le figure entro edicole di Lazzaro, di una Santa e di una Maddalena, mentre sulle volte sono rappresentate le Virtù francescane. Vasari indicò come autore degli affreschi in questione Puccio Capanna ed è in questa direzione che si mosse il primo studio su questo ciclo, condotto dal Chiappelli, il quale qualificò come “senesi le intonazioni cromatiche che sfuggivano a una prassi fiorentina”.
Questi affreschi costituiscono in effetti uno dei rarissimi esempi nei quali la cultura figurativa toscana apre a quella d'oltre appennino. Unanimemente la critica ha individuato per essi un autore di matrice bolognese ed è stato il Longhi a proporre il nome di Dalmasio degli Scannabecchi sulla base della presenza del pittore sia a Firenze che a Pistoia verso e oltre la metà del XIV secolo. La personalità di questo pittore fu un importante punto di contatto e mediazione artistica tra i centri di Bologna e Firenze, facendo pensare a Pistoia quale centro di confluenza e diffusione di molteplici istanze pittoriche. Per capire i motivi dell'inserimento di un pittore “di chiara estrazione bolognese per la sua naturale inquietudine” (Mellini) in ambiente toscano, può tornare utile portare alla luce due aspetti: il primo è relativo alla figura di Bandino dei Ciantori, il committente, ovvero uno dei più ricchi mercanti pistoiesi, con traffici nell'Italia del Nord, che ebbe la concessione in perpetuum della cappella maggiore del San Francesco, e il secondo riguarda la bottega di Giotto che in quel periodo subiva la perdita del grande maestro ed era impegnata a Milano.
Un riferimento cronologico plausibile può essere la data 1343 della lapide nella cappella (Previtali, Mellini, Boskovitz) che stabilirebbe un termine post quem per l'attività di Dalmasio a Pistoia. Inoltre, nel maggio 1343 i frati affidano a Lippo Memmi la realizzazione del polittico d'altare (oggi perduto), che secondo il Vasari fu eseguito dal Memmi su disegno di Simone Martini.
Una pluralità di elementi culturali emergono dal linguaggio pittorico che Dalmasio dispiega sulle pareti della cappella, primo fra tutti è quello emiliano richiamato dalla carica espressiva delle figure nella scena del Dono del mantello, ma si avvertono echi anche della poetica solenne e arcaizzante di Pietro Lorenzetti che nel 1340 terminò una Madonna con Bambino e angeli (oggi agli Uffizi) per questa chiesa. La spazialità messa in scena da Dalmasio nelle storie del santo può richiamare quella assisiate, in particolar modo nel Sogno di Innocenzo III, anche se con l'inserimento di dettagli architettonici (ravvisabili nelle decorazioni dell'architrave della stanza e del letto del pontefice) che si discostano un po' dal modello umbro e nella Visione del crocifisso integrata con particolari interessanti come l'evidente ispirazione alla cupola del Pantheon per la struttura del catino absidale o l'inserimento di un fagotto sulla finestra, indice di un personale naturalismo descrittivo. Questa intenzione spaziale potrebbe essere mediata dalla lezione di Ambrogio Lorenzetti, come dimostra la scena della Predica agli uccelli dove viene meno il riferimento al modello assisiate e più marcata risulta la matrice senese nella veduta di città murata e nell'accesa intonazione rossastra.
Ulteriori testimonianze naturalistiche possono essere colte nella precisione descrittiva delle figure di animali selvatici e, nella scena delle Stimmate, nella figura di frate Elia, il quale distoglie lo sguardo dal libro volgendosi alla sua destra (aspetto può essere considerato ancora una volta una variante dal modello di Pietro e Giotto di analogo tema ad Assisi) e nella rappresentazione dello sfondo paesaggistico, predominante sui personaggi, che risente di certe evocazioni d'ambiente che ebbero echi nella pittura tardo-gotica, già apparse negli affreschi della cappella della Maddalena al Bargello. Rimandi a questi ultimi affreschi sono evidenti nei polilobi della volta e nella composizione misurata delle edicole nelle quali appaiono le figure di Lazzaro e della Maddalena sulla parete di fondo. Nella scena della Prova del fuoco invece le possenti figure, in particolare quella del giannizzero sulla destra, evocano lo stile di Maso di Banco, mentre l'impianto architettonico sempre sulla destra rimanda agli affreschi bolognesi di Francesco da Rimini.
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