Porta Sant'Alessandro si apre nella parte ovest delle mura e risulta militarmente molto ben protetta in quanto posta sotto la difesa delle artiglierie piazzate nel forte di San Marco che la sovrasta e sotto la copertura delle cannoniere ubicate nel bastione di Sant'Alessandro. La sua pianta è simile a quella di Sant'Agostino, ma con un prospetto meno raffinato. I paramenti esterni sono in pietra grigia fino al cordone (posto circa a 10 metri di altezza).
La parte superiore è in pietra gialla, che proviene dalle cave di Castagneta. Il fornice a nord è stato aperto nel 1952 per ragioni di viabilità pedonale.
Porta Sant'Alessandro prese il nome dall’antica cattedrale di Bergamo (del IV secolo) demolita per la costruzione delle mura; è in pianta simile a porta Sant'Agostino: appare più bassa e larga anche perché la fronte esterna è al fondo di una discesa; è in pietra grigia fino a una modanatura collegata con precisione al toro delle mura, così che la porta appare come quella meglio inserita nella cortina difensiva; sopra, fino al tetto, è in pietra gialla.
Quattro, come i punti cardinali verso i quali sono orientate, sono le porte delle mura fatte costruire da Venezia, nella seconda metà del Cinquecento, in difesa della città fedelissima da eventuali invasioni, come quelle patite all’inizio del secolo e che non più si verificarono. Tre di esse portano il nome dei santi patroni delle chiese che si dovettero demolire, insieme a centinaia di case, per l’ampliamento della cerchia; la quarta il nome di quella risparmiata e ancora esistente, di Sant'Agostino. Il turista che sale in città alta con il filobus di Colle Aperto, varca quest’ultima e tocca quelle di San Giacomo e di Sant'Alessandro, e dallo spiazzo di Colle Aperto può vedere giù in fondo al verde declivio quella di San Lorenzo, dalla quale si diparte la strada per la Valle Brembana. Le attuali porte, sebbene non tutte con gli stessi nomi, come vedremo, ripetono nel numero quelle già esistenti della cerchia precedente e munite ciascuna di un torrione, e, probabilmente, quante furono fin dall’origine, nella prima cerchia romana. Mosè del Brolo, nel suo poema il Pergaminus, scritto intorno al 1112 in lode di Bergamo, dice che la nostra città conteneva tre colli (quelli di San Giovanni, del S. Salvatore e di Sant'Eufemia) e aveva quattro porte: “Quator Urbs oris, portis patet ipsa quaternis, interius grummis, ceu diximus, edita ternis”. La stessa divisione, come ricorda il Mazzi, del nostro territorio nelle quattro “Factae portarum”, di San Lorenzo, cioè, Sant'Alessandro, Santo Stefano (poi San Giacomo) e di Sant'Andrea (poi Sant'Agostino), “ebbe per base anche le vie di comunicazione che istintivamente le diverse parti del nostro contado mantenevano con la città”. Così il nostro più antico statuto, fra le disposizioni risalenti fino al secolo XII, contiene anche quella “di assettare e di migliorare le vie delle Porte di Santo Stefano, Sant'Andrea, San Lorenzo, e Sant'Alessandro”. Non sappiamo quando incominciarono ad essere in numero di quattro queste porte, né come si denominassero prima che sorgessero nelle vicinanze o nelle dipendenze le basiliche o le chiese che poi diedero ad esse il nome; ma il Mazzi giustamente ritiene che dovessero esistere nello stesso numero già nella cerchia romana e che si denominassero probabilmente dai punti cardinali al quali erano volte, se due di esse, quelle verso la città bassa, di Santo Stefano (ora San Giacomo) e di Sant'Andrea (ora Sant'Agostino) continuarono ad essere chiamate rispettivamente di mezzodì e di levante. Sappiamo solo con certezza che esse furono più volte abbattute e ricostruite, insieme alle mura, durante le invasioni medioevali, come è ripetuto nei diplomi dei vari dominatori, a incominciare da quello di Berengario del 909. Delle mura antiche, che erano interrotte da torrioni merlati, non rimangono che poche vestigia presso Porta Dipinta, sotto il monastero di Santa Grata e in via Vagine. Una cinta molto più ampia, ormai del tutto scomparsa, formata da un’alta muraglia interrotta da torrioni e recinta da canali d’acqua, serviva a difendere i borghi.
PORTA S. ALESSANDRO: Volta ad occidente, serviva, attraverso Borgo Canale, alle comunicazioni con Ponte San Pietro e coi paesi della Valle San Martino, versa l’Adda. Il nome le derivò dalla famosa basilica esistente nei pressi e abbattuta per la costruzione delle mura venete nel 1561, come ricorda la colonna eretta sul luogo. Il primo ricordo di questa porta, secondo il Mazzi, è in una carta dell’856, nella quale, accennandosi alla basilica di Sant'Alessandro, è detto che questa era “posta fuori della Porta, vicino al muro della città di Bergamo”; mentre in un successivo documento del 982 si specifica “la chiesa (di Sant'Alessandro) fuori della Porta che dicesi di Sant'Alessandro, non molto lontano dalla città di Bergamo”. La basilica di Sant'Alessandro, costruita sulla tomba del martire patrono di Bergamo, dopo la libertà concessa da Costantino, fu la prima cattedrale vescovile, con proprio capitolo di canonici, fino a quando, in seguito all’abbattimento della basilica nel 1561, questo capitolo si fuse con quello già esistente nella basilica di San Vincenzo, entro le mura, già edificata dai Longobardi e poi ampliata nel 1600 e dedicata anche a Sant'Alessandro, le cui reliquie vi erano state trasferite solennemente, insieme a quelle dei Santi Narno e Viatore. Circa le ragioni delle due cattedrali e dei due capitoli, così ci illumina il Mazzi, riferendo dal Lupi: “Questa duplicità di cattedrali non era nuova nell’Italia longobarda, ed il sagacissimo Lupi, applicando alla interpretazione di questo fatto un passo di Paolo Diacono, dal quale noi sappiamo che quasi in ciascuna città vi erano due vescovi, uno Ariano, e l’altro Cattolico, e che per conseguenza vi saranno state due cattedrali, per le due diverse credenze che esistevano l’una accanto all’altra, argomentò giustamente, che presso la Basilica Alessandrina risiedesse il vescovo cattolico, presso la Vincenziana l’ariano. Ne indusse quindi, che, convertiti i Longobardi, per essere la chiesa di San Vincenzo posta nel centro della città, per una certa deferenza ai dominatori, colà si trasportasse anche la sede vescovile: il fonte battesimale posto nella vicina Basilica di San Maria servisse per la città e suo circondario: mentre per lo contrario, nella chiesa di Sant'Alessandro, per rispetto alla sua antichità ed al suo titolare, soltanto le insegne di cattedrale venissero conservate”. Della cattedrale abbattuta, così rievoca ancora il Calvi (II, 488) sotto la data 27 luglio 1561: “In questo giorno, che fu la nona Domenica dopo Pentecoste, per l’ultima volta fur celebrati i Divini Officii nell’antica Cathedrale di Sant'Alessandro, già destinata, per la fortezza della Città, alla demolitione. Correva il vangelo della distruttione di Gerusalemme, all’hor che il Redentore Videns civitatem flevit super aem etc. Onde alla sagra lettione si videro gli occhi de’ cittadini astanti gettar lagrime di dolore, considerando l’imminente ruina di quella santa Basilica, che per tanti secoli era stata la gloria maggiore della Patria nostra”.
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