Il colle Garampo è stato fin dalle origini della città occupato da una costruzione a carattere difensivo, modificatosi col tempo e spostatosi via via sempre più a ridosso della pianura fino all'attuale posizione della Rocca Malatestiana, a strapiombo sulla città. Ad una "arce" romana, ad esempio, seguirono due fortezze (una distrutta nel 1200, l'altra ridotta oggi a pochi lacerti). Dopo il terribile "Sacco dei Brettoni" (1377), che ebbe quest'ultima tra i suoi teatri, ai nuovi Signori, i Malatesta, si impose l'obbligo di edificarne una nuova. Fu scelta una posizione a ridosso della città e, intorno al 1380, Galeotto Malatesta dette inizio ai lavori, poi proseguiti sotto Andrea, Carlo e quindi Malatesta Novello. Questi si indebitò alquanto per vederla compiuta, ma alla sua morte (1465) i lavori (condotti negli ultimi anni dal fanese Matteo Nuti) non erano ancora conclusi. Le opere ebbero termine nel 1480, sotto la dominazione pontificia. Centro di potere sotto Cesare Borgia, la Rocca rimase per secoli semplice fortilizio militare, fino alla destinazione del torrione "femmina" a carcere (dal 1797 fino al 1969). Monumento interessantissimo dal punto di vista militare, con la sua pianta vagamente pentagonale e i cinque torrioni angolari (cui vanno aggiunte due torri di raccordo e una terza solo ipotizzabile) di diversa forma e sezione, la Rocca di Cesena è oggi visitabile quasi nella sua totale interezza. La porta d'ingresso si trova su di una cortina spessa ben 12 metri e conduce alla "corte", oggi ridotta a semplice prato, dominata dai due torrioni centrali: il "mastio" o "maschio", alto e a pianta quadrata (dove è ospitato uno Spazio Espositivo delle Ceramiche Malatestiane) ed il "palatium" o "femmina", tozzo e a pianta rettangolare (sede del Museo di Storia dell'Agricoltura). Di estremo interesse sia i camminamenti superiori, dai quali si può godere di un panorama davvero unico, che quelli interni alle mura, dei quali è visitabile un tratto.
Il colle Garampo è stato fin dalle origini della città occupato da una costruzione a carattere difensivo, modificatosi col tempo e spostatosi via via sempre più a ridosso della pianura fino all’attuale posizione della Rocca Malatestiana, a strapiombo sulla città.
Secondo supposizioni purtroppo non suffragate da reperti archeologici, ad esempio, una “arce” romana doveva trovarsi ben più a monte. Di un castello, invece, si hanno notizie dal 565, ma già intorno al 900 doveva essere in rovina. Venne a questo punto costruita quella che oggi chiameremo Rocca Vecchia, in una posizione mediana tra i vecchi edifici e l’attuale, nei pressi dell’antica Cattedrale. Questo edificio, di cui oggi rimangono alcuni lacerti (i cosiddetti “occhi della civetta”), ospitò Federico Barbarossa (che lo dotò di una possente torre) e, nel 1241, Federico II di Svevia (che lo ampliò).
Nel 1357 la Rocca Vecchia fu testimone di uno degli eventi maggiori della storia cesenate, allorché l’impavida Cia degli Ordelaffi, moglie del Signore di Forlì, difese eroicamente la fortezza dagli assalti poi vittoriosi del Cardinale Albornoz.
Dopo il terribile “Sacco dei Brettoni” (1377), che ebbe la Rocca tra i suoi teatri, la fortezza si ridusse a una cava di pietre e ai nuovi Signori, i Malatesti, si impose l’obbligo di edificarne una nuova. Fu scelta una posizione a ridosso della città e, intorno al 1380, Galeotto Malatesta dette inizio ai lavori, poi proseguiti sotto Andrea, Carlo e quindi Malatesta Novello. Durante l’epoca malatestiana, la Rocca (collegata al Palazzo dei Signori da un “corridore” oggi in rovina) fu estremo baluardo delle difese, alta sulla cittadella detta “Murata”. Novello si indebitò alquanto per vederla compiuta, ma alla sua morte (1465) i lavori (condotti negli ultimi anni dal fanese Matteo Nuti) non erano ancora conclusi. Le opere ebbero termine nel 1480, sotto la dominazione pontificia.
La Rocca così ultimata fu centro di potere per Cesare Borgia e venne controllata nel 1502 da Leonardo, convocato dal Valentino nel suo ducato. Ultima difesa della resistenza a papa Giulio II, poi conquistata nel 1504, disonorata nel 1527 dal passaggio dei Lanzichenecchi di Carlo V, la fortezza di Cesena non visse più in seguito alcun evento di rilievo, rimanendo per secoli semplice fortilizio militare (con castellano e soldati), cui si poteva accedere dalla Piazza Maggiore attraverso un percorso tortuoso oggi perduto.
Importanti modifiche subì poi la Rocca durante il periodo francese, con la definitiva eliminazione delle merlature, la creazione dello spazio dello sferisterio e la destinazione del torrione “femmina” a carcere (rimasto tale fino a tutti gli anni ’60 del ’900).
Dopo la Grande Guerra, le brulle pendici del Garampo furono adibite a Parco della Rimembranza, creando un ideale punto d’accesso. Dal 1974, lo stesso torrione ospita il Museo della Civiltà Contadina, poi Museo di Storia dell’Agricoltura, mentre il torrione “maschio”, un tempo adibito a Museo del Risorgimento, accogliere ora un nuovo spazio espositivo archeologico.
Oggi, con il recupero quasi completo dei camminamenti interni alle mura e del rifugio antiaereo di Viale Mazzoni, la Rocca mantiene altresì l’attribuzione di importante luogo d’arte e spettacolo: tra l’altro è sede di mostre di scultura e, ogni estate, dei principali eventi concertistici della città.
Diversi sono i modi di raggiungere l’odierno ingresso a questo monumento di eccezionale struttura, interessantissimo dal punto di vista militare con la sua pianta vagamente pentagonale e i cinque torrioni angolari (cui vanno aggiunte due torri di raccordo e una terza solo ipotizzabile) di diversa forma e sezione.
Chi può, la assapori partendo da Piazza del Popolo e attraversando l’arco che fin dal Medioevo permetteva l’accesso alla cosiddetta “Murata”. Salita Matteo Nuti e Via Malatesta Novello conducono a Porta Montanara, aperta qui nel 1625 (l’antica, oggi murata, è ben visibile nel muro dello sferisterio), altra via d’accesso alla vecchia Murata. Sulla Porta, una lapide ricorda Renato Serra (1884-1915), che a questo lembo della città dedicò parole indimenticabili. Ben visibili, nella caratteristica forma a “occhi della civetta”, i resti della Rocca Vecchia.
Quindi, lo sferisterio. Questo luogo, un tempo occupato dall’antica Cattedrale, fu dotato dell’alto muro nel ‘400 e poi spianato durante il periodo francese, venendo poi adibito al gioco della palla al bracciale. La discesa al muro permette di apprezzare una seconda lapide con parole di Serra e di visitare il luogo dove il 3/9/44 vennero giustiziati alcuni partigiani.
Eccoci, ora, di fronte all’odierna entrata alla Rocca, nel punto anticamente più vulnerabile e perciò difeso da una cortina spessa ben 12 metri! Entrati nella “corte”, oggi ridotta a semplice prato, si ammirano nella loro possanza i due torrioni centrali. Il “mastio” o “maschio”, alto e a pianta quadrata, doveva costituire la residenza del castellano e della famiglia. Il “palatium” o “femmina”, tozzo e a pianta rettangolare, era invece destinato alle sale di rappresentanza. Costituito a prigione cittadina dall’età napoleonica fino a tutti gli anni ’60, è oggi sede del Museo di Storia dell’Agricoltura, uno dei principali della regione.
Di estremo interesse il modo con cui “mastio” e “palatium” erano anticamente collegati tra di loro e ai camminamenti da ponticelli: questo permetteva di isolare i due torrioni anche nel caso i cui il nemico avesse già conquistato le mura, oppure di raggiungere la ronda se la corte fosse già invasa. In questo caso disperato, un ingegnoso sistema permetteva un’estrema difesa della Rocca: questo grazie alle feritoie poste nei muri perimetrali i quali, cavi e percorribili nella quasi totale interezza, sono in attesa di essere liberati e resi accessibili. Dopo avere scorto (unico elemento che rompe la linearità della cortina muraria interna) una graziosa loggia poliarcata e l’antico acceso alla corte, si sale ai camminamenti, dai quali si può godere di un panorama davvero unico.
Il percorso ha inizio sul torrione di sud-ovest, a forma circolare; da qui lo sguardo abbraccia le prime propaggini dell’Appennino Romagnolo e l’inconfondibile sagoma di Bertinoro e Monte Maggio. Proseguendo sulla destra, si giunge sul torrione occidentale, a pianta poligonale, e quindi (superato il punto doveva forse essere costruita una torre a filo) a quello di nord-ovest, a pianta circolare e più piccolo dei precedenti. Percorrendo questo tratto di cortina, quello che sovrasta l’antico ingresso alla Rocca e che dà sulla città, essa ci appare in tutta la sua compattezza urbanistica. Lontano, il litorale adriatico, con i grattacieli che aiutano ad orientarsi: quello più a nord individua Cervia e Milano Marittima, quello più a sud Cesenatico. Proprio sulla città, una torre a puntone. Si giunge al torrione di nord-est, attribuibile (come tutta questa parte della Rocca) a Matteo Nuti. Il modo migliore per apprezzarlo in tutta la sua perfezione è provenendo dal Parco, notando così gli stemmi in cotto di papa Paolo II e del governatore Lorenzo Zane (1460-70), e la lapide a ricordo del Nuti.
La cortina orientale (su cui si trova una torre ad angolo retto forse incompiuta) permette una suggestiva visione dell’Abbazia del Monte, giungendo infine al torrione di sud-est, sull’ingresso alla Rocca, con pianta pentagonale. Da notare come, oltre ai camminamenti perimetrali interni alle mura, da alcuni torrioni scendano all’interno scale a chiocciola, adibite in passato a vari usi.
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