Sono conosciute con sicure notizie le date riguardanti le opere edilizie iniziate da Bernabò Visconti signore di Bergamo e completate dal figlio Rodolfo per la costruzione della grande sede viscontea in Bergamo della Cittadella o Firma Fides. Morto l’arcivescovo Giovanni nel 1354, passò il dominio del ducato visconteo ai nipoti Matteo, Galeazzo e Bernabò. Ai tre fratelli vennero assegnati i territori frazionati di tutti i vasti possessi che abbracciavano l’Emilia, parte del Piemonte e la Lombardia, toccando a Bernabò la zona da Bergamo al Garda e dalla Valle Camonica a Cremona.
La signoria di Bernabò su Bergamo fu subito iniziata con un atto di dominio che voleva essere simbolo di potenza o ancor più di prepotenza. Per la sicurezza della città verso i nemici esterni già bastavano le difese dei due fortilizi maggiori, la Rocca eretta da Giovanni re di Boemia vent’anni prima (dal 1331 al 1336) e il Castello di S. Vigilio. E fu infatti per la sicurezza personale che Bernabò, fautore della parte ghibellina (diede anche una sua figlia in isposa a un Suardi) e che già nel primo anno aveva esercitato repressioni contro famiglie dei Rivola, dei Colleoni, dei Bonghi e azioni distruttive verso castelli di famiglie guelfe, diede nel 1355 inizio alla costruzione di questa grande opera, invadendo e distruggendo la sede della famiglia La Crotta che occupava il tratto attuale verso Colle Aperto. Questo vasto edificio, che abbracciava anche l’attuale Seminario, subì mutamenti nei secoli così radicali d’aver perduto totalmente il suo primitivo carattere e durante secoli in cui fu ufficio e abitazione del Capitano veneto e ancor più nei decenni del secolo XIX in cui fu sede della I. R. Prefettura austriaca. È di quei tempi la totale intonacatura esterna della torre maggiore che dà accesso al cortile attraverso il portale sormontato da un balcone veneto secentesco con il grande fregio dell’aquila bicipite che nello spazio fra l’orologio e il balcone imponeva ai riguardanti il segno permanente del lontano dominio straniero. Prima d’allora però, quando l’intonaco già era passato sulla pietra vista dell’antico fortilizio (Venezia aveva imposto con un decreto del 1455 che i visibili avanzi delle lotte medioevali, mura, torri, castelli, fossero o distrutti o mutati nei loro aspetti di fortezza), un affresco del nostro pittore cinquecentesco Giovanni Cariani adornava la parete frontale prospiciente sulla piazza. L’affresco raffigurava una favola dell’Ariosto, secondo la citazione del Pasta (1775) nelle sue Pitture notabili in Bergamo, quando già il dipinto era però scarsamente visibile. Più tardi, verso la metà del Settecento, venne aggiunta al termine della torre un’alta guscia barocca e sopra, a formare coronamento, un’architettura ad archetto racchiuso fra lesene per accogliere una campana e in alto sopra le lesene una trabeazione pure a guscia settecentesca coperta da un filare di tegole. Ai lati dell’edicoletta si aggiunsero i raccordi a spirale allargati fino a toccare i bordi estremi della torre col consueto motivo. Ma tale complesso architettonico, dopo forse tre quarti di secolo rinsaldato e rintonacato, dovette ricevere i cinque pinnacoli che attualmente con strano e inesplicabile carattere stilistico coronano quel finale edilizio. Nessun richiamo alle forma italiane viene infatti da quegli elementi ornamentali. La loro sagoma cuspidata a inclinazione spezzata in due pendenze e sotto formata a raccordo rientrante appoggiato alle basi e in alto sormontata da una sfera, é troppo chiaramente affine alle tradizionali linee terminali degli edifici boemi, ruteni, galiziani o polacchi da poterla pensare disegnata da artista italiano. E allora non vedrei spiegabile tale interrogativo se non giudicando che, nel primo periodo dell’avvento austriaco, un architetto del Nord o un ufficiale o un funzionario dell’imperiale regio governo, abbia dato istruzioni per l’esecuzione di quel curioso e caratteristico coronamento. All’infuori di un bel disegno della piazza di preciso valore documentario eseguito nel 1850 da Luigi Bettinelli e che dà alla torre come è attualmente, non esistono purtroppo altri disegni dei secoli precedenti in raccolte pubbliche o private. Oggi come é, la tipica torre che il popolo chiama della Campanella (la campanella é ora tornata dopo la guerra a segnare col suo battito le ore del grande orologio) é un elemento di interesse cittadino e parrebbe tuttora opportuno che, in richiamo ad antiche consuetudini, quando figure ed ornamentazioni abbellivano le facciate delle case, nello spazio sotto il quadrante delle ore o in quello tra la finestrella trecentesca e la guscia della cornice, tornasse a dare anima all’edificio e attrattiva alla piazza un grande affresco simbolico o figurativo appaiono, pure con gusto moderno su torri antiche di Brunico, di Berna, di Altdorf, di Basilea), a rappresentare qualche episodio di vita nostra antica o qualche figura di Santo o personalità del passato.
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