La chiesa di San Bernardino fu con ogni probabilità costruita nella seconda metà del XV secolo, dopo lo canonizzazione del Santo. Scarse e frammentarie le notizie a suo riguardo. Citata in un atto notarile del 1511 e in due testamenti, rispettivamente del 1514 e del 1528, risulta riconsacrata da parte del Vescovo Milani nel 1593, probabilmente dopo un restauro. Nel 1876 ebbe luogo una ristrutturazione che alterò parzialmente le caratteristiche originarie dell’edificio; un successivo intervento di restauro fu compiuto nel 1926. Fin delle origini la chiesa fu sede di una “schola” di Disciplini o Flagellanti, confraternita che alle comuni pratiche di pietà univa l’esercizio collettivo della flagellazione, chiamata “disciplina”. L’associazione non aveva regola propria, ma seguiva la normativa comune a tutte le confraternite bergamasche di Disciplini, raccolte in un’unica federazione con sede centrale presso la “Schola di Santa Maria Maddalena”, in un edificio tuttora esistente con ingresso nell’attuale via Sant’Alessandro al civico 39/D. I Disciplini della chiesa di San Bernardino erano noti a Bergamo con il nome di Bernardinelli e la “schoIa” è spesso citata come “Schola del GonfaIone”, perché aggregata all’omonima arciconfraternita romana. In origine la confraternita ebbe dimensioni contenute e carattere elitario, elementi comuni alle “schole” di Flagellanti tra il XV e il XVI secolo. Nel 1806 in seguito al decreto napoleonico di scioglimento di confraternite, oratori e sodalizi laicali, anche la “Schola dei Disciplini di San Bernardino” cessava di esistere. La chiesa diventava sussidiaria della Parrocchiale. Ristrutturata nel 1876, non sappiamo se ed in quale misura la facciata ripeta le forme precedenti. L’insieme è comunque sobrio e piacevole. Quattro lesene in marmo di Zandobbio martellinato giungono fino al fastigio e si inseriscono nel cornicione sagomato, interrompendo la sequela degli archetti che lo accompagna. Nei settori laterali, entro nicchie con arco a tutto sesto, sono le statue di San Bernardino e di Sant’Antonio da Padova, i due santi francescani verso i quali maggiormente si espresse la devozione dei fedeli che frequentavano la chiesa. Al centro, sotto una finestra, un portale, anch’esso di marmo di Zandobbio, è sormontato da un architrave e da un fondello con arco a sesto acuto entro il quale è scolpito in marmo il trigramma di San Bernardino, le lettere I H S, abbreviazione del nome latino di Gesù, cui sovrasta una croce; intorno un sole con dodici raggi che simboleggiano i dodici Apostoli e numerosi raggi più sottili. Si tratta di una figura ideata dal Santo stesso. Il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino quando entrava in una città per predicare oppure su tavolette di legno che il Santo mostrava ai fedeli per catalizzarne l’attenzione. Spesso i devoti lo scolpivano sulle facciate delle case. In un’epoca in cui frequentissimi erano gli stemmi allusivi a famiglie coinvolte nelle lotte di fazione, Bernardino presentava lo stemma del Cristo, simbolo di pace. All’ingresso una bussola ottocentesca in noce è opera di buona fattura in stile gotico. L’interno si presenta ad aula unica. Cinque arcate a sesto acuto scandiscono gli spazi con un’accelerazione verso il coro. L’arcata centrale, più stretta e più imponente, con funzione d’arco trionfale, separa due settori. Il primo costituisce la navata vera e propria, suddivisa dagli archi in tre campate con cappelle laterali a fondo piano. Il soffitto è a capanna. Al di là dell’arcata centrale gli archi sono di minori dimensioni e le campate si accorciano. La prima di esse è dotata in alto di due matronei ed ha sulla destra I’ingresso secondario dell’edificio. Le due successive costituiscono il presbiterio, rialzato di tre gradini rispetto al pavimento della chiesa. Il soffitto è coperto da volte a crociera di cui quella centrale riporta il trigramma bernardiniano. Possiamo supporre due diverse fasi di costruzione; la parte del presbiterio dovrebbe essere un’aggiunta del Cinquecento alla primitiva struttura quattrocentesca. Nella chiesa operò l’Isabello per la costruzione di una cappella commissionata da Lorenzo Pelorsi nel 1511 . Probabilmente ristrutturata nel corso dei secoli, essa oggi non è più identificabile. L’aspetto attuale della chiesa risulta pesantemente condizionato dalla ristrutturazione del 1876, ma è difficile determinare l’entità degli interventi. Dovrebbero essere rimaste integre le prime tre arcate, modificata invece la copertura del presbiterio. Sicuramente ottocenteschi sono gli archi laterali a sesto acuto che introducono nelle singole cappelle. II soffitto della navata ripete nella struttura quello originario ed è costituito da tavellette di terracotta dipinta poggianti su travicelli trasversali. Le tavellette antiche, delle quali si conservano alcuni esemplari, erano decorate con motivi floreali, anfore ed altri elementi ornamentali a colori vivaci. Nel secolo scorso esse furono sostituite con le attuali che sul tondo color ocra giallino presentano cornici rettangolari e tondi. La stessa decorazione si ripete sulle pareti e sui sottarchi, sostituendo con ogni probabilità antichi affreschi. Sulla controfacciata quattro dipinti della fine del XVI secolo di Giovan Paolo Cavagna: Angelo Annunciante, Vergine Annunciata, San Nicola da Bari e San Bernardino. La prima cappella di sinistra: Sopra il confessionale due affreschi, opere di Giovan Paolo Cavagna, rappresentano degli angeli in volo. In una nicchia sulla destra si trova una scultura lignea raffigurante l’Angelo custode. La seconda cappella a sinistra: Sopra l’altare molto semplice in marmo giallo e verde un dipinto della seconda metà del XVI secolo di Giovan Paolo Cavagna: Pietà. La terza cappella a sinistra è dedicata a Sant’Antonio da Padova. Il tema della glorificazione del Santo è introdotto da un affresco del XX secolo posto sopra l’arcata d’ingresso di Ponziano Loverini: Sant’Antonio da Padova. Sulla destra in una nicchia è la statua lignea di San Francesco, il viso dai lineamenti marcati, le stigmate evidenziate, I’originale aureola fatta di tanti raggi di legno dorato. A sinistra la statua di San Bernardino, dalla figura più rigida e compatta, serrata in uno spazio concluso, in cui sono contenute anche le pesanti e ridondanti pieghe del saio e del cappuccio. Percepibile solamente il lieve avanzare della gamba sinistra. L’immagine ripropone i caratteri fisionomici del Santo: il volto emaciato, il naso e il mento prominenti, la bocca come sdentata, il corpo rattrappito. L’aspetto è documentato da ritratti coevi; l’iconografia di tipo ascetico fu causa non ultima della popolarità del Santo senese. Al di là di una cancellata la cappella ha una pianta quadrata ed è sormontata da una cupoletta emisferica a riquadri digradanti verso il centro. Risulta ristrutturata nel 1821. L’altare è in marmo, addossato alla parete di fondo; sull’alzata due angeli portano il ramo dei gigli ed il libro. Al centro la nicchia contiene la statua di Sant’Antonio da Padova. Alle pareti sono due affreschi del XIX secolo di Cesare Maironi da Ponte: La conversione di Ezzelino da Romano e, a destra, Trasporto dell’urna di Sant’Antonio da Padova. All’interno dell’arco trionfale, posti simmetricamente, sono due affreschi di anonimo del XV o XVI secolo: San Sebastiano e San Bernardino e un disciplino. AI centro l’altare in marmo giallo di Verona con specchiature verdi è opera successiva alla ristrutturazione ottocentesca. Su un pannello centrale è il trigramma di San Bernardino; ai Iati due nicchie ospitano le statue in bronzo di Sant’Antonio da Padova e della Madonna. Più indietro altre due nicchie con le statue in bronzo di Sant’Alessandro e di Sant’Apollonia. Sopra l’altare una splendida opera del XVI secolo di Lorenzo Lotto: Madonna in trono con il Bambino, i Santi Giuseppe, Bernardino, Giovanni Battista, Antonio abate ed angeli. Sullo sfondo un paesaggio al tramonto crea un’atmosfera propizia alla meditazione. A destra l’incendio di un casolare lontano forse allude malinconicamente alla situazione di violenza che la città viveva in quegli anni. In mezzo all’aperta campagna quattro angeli volteggianti reggono un drappo verde che funge da baldacchino; esso scende a coprire i gradini del trono, ma scivola da un lato, accentuando una sensazione di provvisorietà. Gli angeli stanno ancora sistemando la costruzione che sembra sia stata innalzata solo qualche minuto prima. Non c’è dunque solennità in questa apparizione della Madonna: è l’irruzione improvvisa del divino nel mondo umano, nella vita di tutti i giorni. La Vergine guarda i fedeli, intreccia un colloquio con loro e presenta il Figlio con gesto spontaneo, quotidiano, popolaresco. Portando il Bambino, ha offerto agli uomini la possibilità di salvarsi. Ella si propone come mediatrice tra i fedeli e Dio, anzi è colta proprio nel momento in cui sta svolgendo questo suo ruolo. L’angelo riccioluto ai suoi piedi si volge ai devoti, raccoglie le loro suppliche e le scrive. La Madonna le presenterà a Dio. La divinità, calatasi nel mondo, si serve degli stessi mezzi che usiamo noi. Il tema della mediazione di Maria, comune a tante altre pale d’altare, non è mai stato descritto in modo così semplice ed efficace. E l’angelo, dallo sguardo penetrante, dai capelli intrisi di luce, è una delle creazioni più originali dell’arte italiana del Cinquecento. La forma del baldacchino, gli sguardi della Madonna e dell’angelo ci invitano ad una lettura discendente dell’opera: dall’alto, dove una semicirconferenza luminosa indica Dio, verso il basso, fin fuori dal dipinto, fino ai fedeli che così sono coinvolti, chiamati a partecipare alla scena sacra. l Santi intorno guardano e meditano. Le loro figure non sono state scelte a caso. Sono i Santi verso i quali gli abitanti del borgo nutrivano particolare devozione. Sant’Antonio abate era il protettore del borgo, a San Giovanni Battista era intitolata la vicinia, a San Bernardino era dedicata la chiesa. Così veri, così semplici, essi dicono che anche loro sono stati uomini e insegnano cosa bisogna fare per diventare santi. San Giuseppe medita, San Bernardino contempla in estasi la Madonna; San Giovanni Battista, il precursore, colui che aveva indicato al mondo l’avvento del Cristo, continua ad indicarlo con un gesto molto eloquente della mano. Lo mostra a Sant’Antonio abate, rustica figura di vecchio monaco, forse un po’ cieco, che si china in avanti per vedere meglio. Ma lo indica anche ai fedeli. E il messaggio del dipinto è un invito a meditare sulla venuta di Gesù. La Madonna sembra dire: “Eccolo, ve l’ho portato”. Il suo braccio, visto di scorcio, abbrevia la distanza tra l’uomo e la divinità. Lorenzo Lotto raggiunge nell’opera il momento più alto della sua maturità artistica e, condensando ogni esperienza precedente, si esprime con un linguaggio straordinariamente ricco e personale. Firmata e datata 1521, la pala è, secondo Francesca Cortesi Bosco, “uno dei più alti esiti dell’arte di ogni tempo”. La cornice è ottocentesca. La terza cappella a destra: Entro nicchie sono le statue di San Rocco e di Sant’Ignazio di Loyola. La prima è opera di notevoli dimensioni, di qualità forse superiore alle altre presenti nella chiesa. La seconda raffigura il Santo Fondatore della Compagnia di Gesù con il trigramma bernardiniano. Ricordiamo che infatti il disegno del Santo senese fu adottato come insegna dai Gesuiti e si trova frequentemente sulle facciate delle chiese di tale Ordine. La seconda cappella a destra: Sopra l’altare un affresco cinquecentesco di anonimo del XVI secolo, Madonna in trono con i Santi Onofrio e Antonio da Padova.
Sei del posto? Cosa ne pensi di Chiesa di San Bernardino In Pignolo?
Loggati per suggerirlo!