Il monastero di San Benedetto è un monastero benedettino femminile di clausura, situato in via Sant'Alessandro, nel cuore della città. La dedicazione della chiesa risale all'11 settembre del 1547.
Situato all’angolo tra via Sant’Alessandro e via Carlo Botta, nell’antico Borgo Santo Stefano, fuori le mura della cinta veneta cinquecentesca, ma all’interno del quattrocentesco tracciato delle “Muraine”, il monastero di San Benedetto trae la propria origine dall’unione delle due comunità benedettine femminili di Santa Maria Novella e di Santa Maria di Valmarina, alle quali erano stati annessi, in precedenza, altri nuclei monastici minori. Un piccolo cenobio intitolato a Santa Maria Novella esisteva già nella seconda metà del secolo XIII, nello stesso luogo in cui oggi sorge il monastero di San Benedetto. La chiesa: Consacrata l’11 novembre 1547 dal vescovo Vittore Soranzo, costituisce una pregevole testimonianza di architettura religiosa rinascimentale, seconda in Bergamo, per la purezza delle linee e per la qualità dell’ornato, soltanto alla chiesa di S. Spirito, opera dello stesso architetto, Pietro Isabello. Della precedente costruzione, incorporata nel monastero di Santa Maria Novella, nulla si sa, ad eccezione del fatto che, essendo divenuta insufficiente per le esigenze della nuova comunità formatasi nella seconda metà del Quattrocento, con il trasferimento “in loco” delle monache di Santa Maria di Valmarina, nei primi anni del Cinquecento fu abbattuta per fare posto ad una chiesa più spaziosa. La nuova costruzione creò sicuramente non poche difficoltà all’Isabello se, iniziata nel 1504, dovette essere restaurata già nel 1516 e poidemolita nello stesso anno a causa di sopravvenuti problemi di stabilità statica. La prima pietra dell’attuale edificio fu posta il 6 maggio 1522. La facciata su via Sant’Alessandro è tripartita da quattro lesene in cotto, poggianti su basamenti in pietra con interposizione di un cordolo in arenaria grigia, avente funzione di cornice dello zoccolo, che inizia a livello del terreno, in corrispondenza dell’angolo con via Botta, per alzarsi gradualmentelungo via Sant’Alessandro, sottolineando la forte inclinazione del pendio. Nel centro del fronte, in posizione normale rispetto all’asse longitudinale della chiesa, si apre il portale d’ingresso con architrave monolitico poggiante su stipiti pure in unico blocco di arenaria e sormontato da un lunettone tamponato; sopra il poco sporgente protiro su pilastrini addossati alla parete, due fasce decorative in cotto corrono lungo la facciata, conclusa verso l’alto dai salienti della copertura e dalla terminazione a timpano entro la quale prosegue la sequenza delle decorazioni in laterizio. La stessa tripartitura, scandita dalle lesene, la cornice in arenaria dello zoccolo, i motivi ornamentali in cotto e la terminazione a timpano, si ripetono nel fronte prospettante via Botta, determinando una sostanziale identità formale tra le due pareti contigue della chiesa. Il tessuto murario dell’alzato, ha rivelato la natura irregolare ed eterogenea del materiale costruttivo, costituito per lo più da pietre non squadrate, con inserimento di masselli in cotto.
L’interno e le opere d’arte: L’organismo è distribuito attorno ad una pianta centrale, con tiburio ottagonale e cupola interna: superato l’ingresso secondario, che dal chiostrino immette nella chiesa, contro la parete di fondo, alla destra di chi entra, si nota un affresco, raffigurante il Cristo portacroce, eseguito sopra una lapide murata, collocata a ricordo del defunto Jo. Antonio Lolmo, monaco benedettino, “qui posto il 10 agosto 1575”.
Alla sinistra dell’affresco è inserito un monaco di San Benedetto in preghiera. L’affresco rappresenta il Cristo in primo piano e sullo sfondo un vasto paesaggio caratterizzato da monotoni toni grigi che si contrappongono al rosso dei tetti delle case sulla destra. Dalla parte sinistra, contro la stessa parete, spicca un altro affresco del Cinquecento sul quale è rappresentata una “scena biblica con Esaù e Giacobbe”, oppure una “scena degli antichiPadri del deserto”. Sotto questo dipinto, in posizione asimmetrica rispetto all’asse verticale dello stesso, è venuta alla luce una piccola rappresentazione di “Cristo che risorge”. Lungo tutto questo lato della chiesa una serie di archi di diversa luce, sorretti da colonne e pilastri, determinano un elegante porticato sormontato da un coro, chiuso con transenna lignea, dove le monache, in perfetta clausura, possono seguire dall’alto la celebrazione della Messa. Secondo alcune ipotesi il porticato sarebbe stato ideato dall’Isabello nell’ambito della soluzione architettonica intesa a soddisfare le esigenze della clausura; d’altra parte si sostiene invece che il portico stesso apparteneva alla chiesa precedente e che sarebbe stato inserito nella costruzione attuale con una soluzione ardita.
Il presbiterio: L’altare maggiore, entro il grande arco sorretto da due pilastri, al centro del presbiterio, fu eseguito nel 1841, in stile neoclassico, su progetto dell’architetto Giacomo Bianconi. Dietro l’altare, in una pregevole ancona marmorea, è collocata la pala raffigurante l’Assunta con San Benedetto e gli Apostoli. Sulle pareti laterali della cappella centrale, entro cornici in legno dorato, vi sono due dipinti del bergamasco Giovanni Chizzoletti (XVII-XVIII sec.): a sinistra San Mauro guarisce gli infermi; a destra Sant'Alessandro tra il popolo bergamasco prima del martirio. La zona presbiteriale, interamente recintata da una cancellata tardobarocca, sottoposta a doratura nel 1761, è completata da due cappelle laterali delimitate da archi, con altari barocchi di marmo intarsiato: quello di sinistra è impreziosito dalla splendida pala, entro ancona marmorea, con Il miracolo dell’acqua che sgorga dall’arca dei santi Fermo, Rustico e Procolo. Realizzato da Gian Paolo Cavagna nel 1621 per la chiesa del monastero di San Fermo di Plorzano, dove si trovava ancora alla fine del secolo XVIII, il dipinto fu trasferito in San Benedetto, probabilmente nei primi anni dell’Ottocento, per salvarlo dalla distruzione in cui sarebbe inevitabilmente incorso, causa le condizioni di abbandono e di generale degrado in cui versava il monastero di San Fermo, fin dalla sua soppressione del 1575. La composizione pittorica è divisa in tre zone: nella parte superiore la Vergine siede col Bambino sulle nubi, tra San Benedetto e Santa Scolastica inginocchiati ai lati. Al centro: sullo sfondo una città cinta da mura, dalla quale si snoda una processione di fedeli che si reca a ricevere l’acqua miracolosa; in primo piano le tre figure inginocchiate dei santi Fermo, Rustico e Procolo reggenti le palme del martirio. In basso, davanti alla balaustra che protegge l’arca dei Santi Martiri, si scorgono cinque figure di devoti, nei costumi del Seicento, che ricevono da un religioso, affiancato da un chierichetto reggente una candela, l’acqua miracolosa sgorgata dall’arca. Sulla parete sinistra di questa cappelletta, entro una cornice Iignea, è raffigurata La Vergine che sorride alla visione della croce splendente nel cielo tra numerosi angioletti, opera di ignoto del diciassettesimo secolo. Il dipinto del secolo XVIII sulla parete opposta, anch’esso di paternità sconosciuta, rappresenta invece San Benedetto fra due sante dell’Ordine benedettino. L’altare alla destra dell’altar maggiore è ornato dalla pala di scuola bergamasca del secolo XVII, con La Natività di Gesù e i SSan Benedetto, Carlo Borromeo, Giuseppe, Mauro e Scolastica; sullo sfondo il presepio. Sulla parete destra della stessa cappelletta, sopra la porta che immette nella sagrestia della chiesa, è collocato un dipinto attribuito al Cavagna, nel quale è effigiata La Vergine col Bambino, fra due santi a mezza figura. Gli altari laterali. Gli affreschi della volta: I rimanenti due altari sono inseriti in altrettante cappelle delimitate da archi, contro la parete di nord-est, alla destra di chi entra nella chiesa dalla parte del chiostrino. La pala del primo altare, raffigurante la “Madonna e Santi”, è opera del secolo XVI di Lucano da Imola: la Vergine è rappresentata seduta in trono col Bambino sulle ginocchia che si rivolge a destra, verso tre santi, tra cui San Rocco. A sinistra, accanto al trono, compaiono i santi Cristoforo, Caterina e Antonio Abate e nel mezzo un angioletto musicante. Sopra iltrono altri due angioletti sostengono il drappeggio. Il secondo altare è impreziosito dalla pala eseguita nel 1747 dal veronese Carlo Salis; il dipinto, raffigurante San Benedetto con i SSan Mauro e Placido giovinetti fu commissionato per la chiesa di San Benedetto da donna Maria Vittoria Fogaccia, sagrista maggiore del monastero, tramite il conte Giacomo Carrara. Il pilastro che i due archi contigui, delimitanti questi due altari laterali, avevano in comune, è stato rimosso nel 1756 per consentire l’ampliamento del comunicatorio, poi completato nel 1761 con la costruzione dell’attuale baldacchino e della relativa corona in legno dorato. Nell’angolo est di questa parete, sotto il porticato di cui s’è detto, è collocato un quadro ad olio sutela, di autore ignoto del secolo XVIII, in cui è raffigurata La Sacra Famiglia. La plasticità degli sfondi in penombra del presbiterio, del portico sotto il coro e delle cappellette laterali, viene esaltata dalla luce soffusa che penetra nell’edificio attraverso le tre monofore della cupola, festosamente affrescata nel 1756 da Giuseppe Orelli con motivi indicanti La Santissima Trinità, la gloria della Beata Vergine assunta e San Benedetto intorno a personaggie scene di ispirazione benedettina; gli stucchi sono di Mario Camussi che li eseguì contemporaneamente alla decorazione dell’Orelli.
Il chiostrino: Considerato una preziosa gemma dell’architettura rinascimentale, determina una volumetria espressivamente autonoma d’ingresso alla chiesa e al monastero, nonché uno spazio riparato per la sosta tra il mondo esterno e la clausura. Opera giovanile di Pietro Isabello, figura eminente del Rinascimento lombardo, “manifesta una sorprendente libertà d’invenzione ed una compiuta sapienza compositiva, degna in tutto dell’eccezionale momento attraversato dalla cultura e dall’arte italiana”. Il portale d’ingresso, strutturato con sistema trilitico, composto di architrave e piedritti monolitici in arenaria e lunetta superiore, si apre lungo via Sant’Alessandro, tra la chiesa e il corpo dell’organismo monastico, chiuso quest’ultimo da un alto muro, decorato tramite una cornice in cotto corrente sotto la gronda a gola, in continuità stilistica con quella del fronte principale della chiesa, posta appena sopra il protiro. Raccolto attorno ad una pianta rettangolare, di dimensioni assai contenute, è impostato su sei archi a tutto sesto, disposti lungo tre lati, sorretti complessivamente da cinque colonne in arenaria, slanciate da alti piedistalli con dadi decorati da bassorilievi e concluse da capitelli, con volute ioniche e foglie angolari, assai diversificati per la varietà dei particolari decorativi. Tra i capitelli e le imposte degliarchi, sono inseriti tratti di trabeazione decorati con fregi in rilievo; eleganti rosette ornano i sottarchi mentre le ghiere sono ingentilite dal motivo ornamentale, caratterizzato da bacellature stilizzate, di forma convessa. Tale motivo è rilevabile nella fascia orizzontale sopra le ghiere stesse, in quella superiore sotto la gronda, nelle cornici delle finestre rettangolari al piano superiore, sui due fronti della chiesa, in corrispondenza del timpano edei salienti del tetto, e sotto la gronda della cinta muraria esterna, lungo via Sant’Alessandro. Gli affreschi del Baschenis: Nelle dodici lunette sotto i tre lati dell’aggraziato ed aereo portico e nelle due del lato sud-est, ricavate entro archi prospettici in affresco, intesi a conferire centralità all’impianto, sono illustrati altrettanti episodi della vita di San Benedetto, opera del 1597 di Cristoforo Baschenis il Giovane. Sotto il lato del portico a nord-est,tipizzato da archi di luce differente rispetto a quelli degli altri lati, nell’angolo nord, si apre l’ingresso secondario alla chiesa; all’estremità opposta dello stesso tratto di portico è visibile una porta ad arco, tamponata con grosse pietre ora rivestite di intonaco e contornata da mattoni. Nella parte superiore della parete di nord-est, opposta all’ingresso, si apre una finestra rettangolare, corrispondente alla sala capitolare, realizzata nel Settecento in “rottura” tra altre due monofore, risalenti alla costruzione dell’Isabello, decorate con cornici in cotto. Nella parte bassa della stessa parete, sotto il porticato, si apre l’ingresso al monastero, strutturato come quello del chiostrino, con architrave, stipiti monolitici e lunetta superiore in arenaria; oltrepassare questa porta non è consentito: al di là vi è la clausura. Il chiostro maggiore: si trova all’interno della clausura e pertanto non èaccessibile ai visitatori; il portico, distribuito attorno ai quattro lati della pianta rettangolare, è impostato su otto colonne lungo ciascuno dei due lati maggiori e su quattro in quelli minori, oltre alle colonne d’angolo, tutte in pietra di arenaria e di forma cilindrica, prive di entasi e di rastremazione. I capitelli, con le classiche volute ioniche, tipiche del gusto rinascimentale, presentano bassorilievi con motivi che mai si ripetono nella sequenzatipologica delle decorazioni; anche in questo chiostro, tra i capitelli e gli attacchi degli archi, sono interposti tratti di trabeazione, con duplice decorazione in cotto a rilievo, intesi a slanciare le colonne e ad alleggerire la sequenza ritmata delle archeggiature. Nella parte inferiore le colonne appoggiano, tramite interposizione di plinti, su un muretto che cinge totalmente il chiostro: un’apertura lungo ciascun lato permette l’accesso alcortile, in mezzo al quale, tra verdi aiole e vialetti lastricati in pietra, si eleva la grande statua bronzea di San Benedetto, collocata negli anni Sessanta. Gli ornamenti in cotto lungo le ghiere degli archi a tutto sesto, unitamente ai fregi orizzontali dello stesso materiale, lungo le pareti esterne, decorano i quattro lati del porticato, tre dei quali sono sormontati da un elegante loggiato con archi a sesto leggermente ribassato, di luceesattamente la metà rispetto a quelli sottostanti e con ghiere evidenziate da un sottile profilo in cotto, sorretti da snelle colonnine in arenaria.
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